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Come un ladro, giudicata da tutti.

Elisabetta aveva il nome di una regina, e regina lo era, per davvero.


Nonostante la sua giovane età, portava con se i sentimenti più nobili e regali, che la sua piccola città avesse mai immaginato.


Ma forse, troppo gentili, per quell’ambiente, fatto per la maggior parte da individui,
che passavano il loro tempo, a ruttare davanti ai bar, sempre per loro, aperti.


Elisabetta, non aveva nessuna guardia del corpo, nessun impero, nessun Re, a difenderla da tutto, e quando si inoltrava tra quelle strade, era una carneficina, per le sue emozioni,
per la sua bianca e sensibile, pelle;


Quando rincasava, aveva mille e ancora di più, tagli, sulla sua esile e delicata, schiena.


Nella sua piccola cameretta, l’ansia era la sua migliore amica, sempre presente,
come l’insoddisfazione, di non piacersi, di non essere all’altezza del mondo,
di essere strana, e sempre, come un ladro, giudicata da tutti.


I genitori, per la maggior parte del tempo assenti, non le davano il minimo aiuto, pensando fossero i “soliti problemi” di ogni adolescente, e quando si preoccuparono sul serio, era ormai, troppo tardi.


Divorata, dalla cattiveria delle persone, e dalle tante, infinite insicurezze, fini sulla scrivania di un “esperto luminare” che la riempì, come ed più, di una cavia di laboratorio, di ogni farmaco possibile.


Le aveva prescritto, una pillola per ogni sua paura, e la sua mente annebbiata,
non riconosceva più il sole;

il cielo azzurro, era sempre grigio, per lei,
la primavera, sempre inverno.


Elisabetta, era soltanto un’altra vittima, della vita, messa al palo, per essere troppo bella, dentro, troppo sensibile, troppo tutto.


I suoi occhi ed i suoi sogni, si spensero, come abbandonate luci di periferia, sferzate dal vento e dalla solitudine, e mai riparate, da nessuno.


Ora Elisabetta, vive in un castello, con sbarre di ferro ad ogni porta e finestra, dicono in giro, che è meglio così, che nessuno lì, possa farle più del male, ma, se vedessero per un solo istante, quello che i suoi gonfi occhi, sono costretti a vedere, ogni maledetto, li dentro, giorno, si ricrederebbero all’ istante.


Il più bel fiore della sua terra, gettato in un porcile, calpestato ogni giorno, nella sua grazia,
ferita, nel profondo, senza tregua, della sua candida, anima.


Elisabetta, da tempo ha smesso di essere una regina, ha smesso di sognare, e per colpa della vita, purtroppo, persino, di vivere.