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Fame, di tutto.

Sapevo soltanto che dovevo correre il più veloce possibile,
perché il tempo stava finendo.

E correre, contro gli altri piloti, in questa ultima corsa, non era facile per nulla,
tutti con le loro macchine scintillanti e prestanti,
si atteggiavano, nei loro box pieni, di tecnici di ogni tipo e Team Manager, sempre pronti a loro disposizione.

Praticamente dovevano solo pensare a correre.

C’era chi gli preparava la macchina,
chi gli dava dritte sul percorso, addirittura, chi li rincuorava ed gli asciugava il sudore.

Mentre per me era molto diverso, dall’inizio alla fine, tutto da solo;

dai soldi della benzina, alla pulizia dei miei sempre sporchi vetri …

C’ero soltanto io, e questa mia macchina scassata, che ogni tanto perdeva qualche pezzo per strada, ma volevo salire sul podio ad ogni costo.

Non mi importava se avessi fuso il motore, bucato queste mie consumate gomme,
rimasto senza freni, oppure mi sarei schiantato in qualche curva,
volevo e dovevo soltanto vincere, perché non avevo scelta.

Perché nessuno mi aspettava ai box per rincuorarmi, nessuno mi avrebbe dato una seconda possibilità, avevo una sola strada di fronte al mio cammino,
quella di accelerare al massimo, con il gas a manetta, e bruciare ogni record possibile,
perché avevo fame, fame di tutto.

Pregavo, che questo mio motore non mi abbandonasse mai, anche se lo maltrattavo e lo spingevo sempre al limite, ogni giorno, e che i freni avvessero retto fino alla fine della corsa ogni volta.

Sopratutto in questa mia ultima gara, la più importante della mia vita.

Schierati sulla griglia di partenza potevo vederli tutti;
chi sorrideva smaliziato,
chi riparato dal sole, da una stupenda donna con l’ombrello, faceva il verso a Schumacher
chi coccolato dai tanti tecnici, discuteva sereno.

E poi c’ero io, in fondo a tutto,
con questa mia auto scassata,
ma con una voglia incredibile di vincere,
perché al contrario di tutti li, io, su quella pista,
non avevo nulla da perdere,
se non questa mia grama e solitaria vita.